martedì 3 giugno 2008

Sui mutui rischia anche l'Est Europa

(Sole 24 ore)

La crisi finanziaria che sta attraversando gli Stati Uniti e che è originata dai mutui subprime deve preoccupare l'Europa centro-orientale, e non i Paesi asiatici. Parola di Nouriel Roubini, classe 1958, professore alla Stern School of Business della New York University. Un noto pessimista in fatto di previsioni sugli scenari economici internazionali, ma pur sempre tra i primi ad aver azzeccato le stime sulle perdite subite dagli Usa per colpa della bolla dei mutui.

Il professor Roubini, che è anche l'autore di uno dei blog di economia più seguiti dal pubblico a stelle e strisce (www.rgemonitor.com), oggi è a Roma per partecipare al Country Risk Forum dell'Abi.
«Dopo la crisi del 1997 – sostiene Roubini – le economie emergenti dell'Asia si sono rafforzate in fatto di sistemi bancari, di governance, di fisco. Ora sono molto più robuste, e hanno anche accumulato discrete riserve valutarie. Chi invece ha problemi di deficit delle partite correnti, di disavanzo fiscale e di eccessivo apprezzamento delle valute, ora è quella ventina di Paesi che si estendono tra il Mar Baltico e la Turchia».

Tre i sorvegliati speciali: Lettonia, Estonia e Bulgaria.

E se negli Usa la situazione peggiorerà, qui sì che si sentiranno gli effetti del restringimento del credito. Nonostante il ruolo di cuscinetto dell'Unione europea: «Certo – spiega il professore, che ha anche studiato alla Bocconi di Milano – la Ue è un ombrello che in questi anni ha risparmiato i suoi nuovi membri da crisi di grossa portata, e anche questa volta sarà in grado di ridurre l'impatto dell'onda anomala in arrivo dagli Stati Uniti. Quindi niente di paragonabile alla crisi asiatica del '97 potrà avvenire nell'Europa centro-orientale, ma questo non significa che gli effetti non possano essere consistenti».
La presenza di molte banche straniere in questi Paesi, dalle svedesi nei Baltici alle austriache nei Balcani, per Roubini non è affatto da annoverarsi tra gli elementi in grado di calmierare gli effetti della crisi. Anzi: «La sovraesposizione delle banche dell'Europa occidentale in quest'area può far sì che gli effetti della crisi si facciano sentire anche sulle economie di Eurolandia. E questo vale anche per l'Italia, i cui istituti di credito sono stati in prima fila nella conquista delle banche dell'Est. Del resto, la stessa cosa è successa alle banche giapponesi durante la crisi asiatica, o a quelle europee e americane durante la crisi argentina».

Fuori dalla portata del ciclone sarebbero invece la Russia e la Turchia, il Paese natale di Roubini: «Mosca è al riparo da una nuova crisi grazie alle ingenti riserve accumulate con la vendita di gas e petrolio. Mentre Ankara, nonostante non usufruisca del cappello protettivo della Ue, ha riserve valutarie e una buona flessibilità monetaria che la pone fra i Paesi a basso rischio».

Chi dorme sonni più tranquilli sono dunque proprio quelle economie che originarono la crisi del '97, ma che da quella hanno imparato la lezione, rafforzando i propri sistemi bancari: «Paesi come Corea del Sud e Taiwan – dice Roubini – ormai hanno un elevato grado di stabilità. La Cina, invece, ha ancora qualche fondamentale da sistemare, mentre l'India ha iniziato un lungo cammino di riforme che però devono continuare per trasformare effettivamente il Paese».

Chi invece, tra le aree emergenti del mondo, ha saputo creare i sistemi più aperti è l'America latina: «Messico, Brasile e Perù – sostiene Roubini – hanno imparato la lezione meglio di tanti altri». Il rischio, semmai, è che la crisi americana possa rallentare il processo di apertura dei sistemi ancora in fase di transizione: «Aprire troppo – conclude – potrebbe mettervi nei pasticci: è questa la lezione che i Paesi emergenti stanno traendo in questi giorni dagli Stati Uniti». Un vero peccato, per il progresso di questi Paesi.

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